A proposito di cavalli che sporgono la lingua all'aumentare del lavoro e quindi della frequenza respiratoria leggo a pag 33 del testo di Klimke" Addestramento del puledro"che bisogna allargare molto la museruola come per dare più spazio nella bocca. Il consiglio messo in pratica domenica ha dato il risultato sperato.
è giusto?non si corre il rischio di perdere precisione nel contatto fra mano e bocca?
conoscevo il pensiero di Klimke. Il fatto che lei l'abbia messo a disposizione di chi legge il forum mi fa molto piacere. Sono tanti anni che faccio il moderatore e non sa quante volte ho scritto contro tutto quello che stringe il muso del cavallo del quale fanno parte non solo la bocca, ma anche le uniche vie respiratorie.
Il fatto che il cavallo possa distaccare la mandibola dalla mascella superiore, senza per questo sbadigliare, è una libertà che bisogna lasciargli, a scanso di disagi e di difese che si manifestano anche con i movimenti ingiustificati della lingua e la sua fuoriuscita.
E' difficile da far accettare dalla maggioranza dei cavalieri questa evidenza. Continuano ad andare di moda museruole strette e stringi bocca. Ormai le museruole delle capezzine sono tutte provviste di un passante per infilare quel malefico nastro.
La precisione del contatto della mano con la bocca non dipende certamente dalla museruola che contorna il muso del cavallo, ma dalla mobilità delle mani e, prima di tutto, dalla sensibilità e dal tatto del cavaliere (cervello).
A parte il fatto che la permanenza del contatto, nel lavoro, in esercizio, non ha ragione di esistere. Anche nella competizione, il non contatto (pensi ai 35 km della prova di fondo del completo di una volta, quello che ho fatto io) è un sollievo per il cavallo. Anche nello stesso percorso di salto, lasciare il contatto per un breve tempo tra un ostacolo e l'altro può avere effetti benefici. L'importante è riprendere il contatto con leggerezza, con dolcezza, non dando, insomma, un tirone nella bocca del povero cavallo (assetto instabile).
i puledri, se vengono montati bene con mani leggere e opportune, non hanno alcun motivo di aprire la bocca per sottrarsi all'azione dell'imboccatura, cioè delle mani.
Succede putroppo il contrario. Che le mani sono forti e pretendono troppo, producendo dolore sulle barre (gengive, osso ricoperto da un leggero strato di carne) e sulla lingua. Allora il puledro si difende con la bocca. Il cavaliere, per eliminare le difese, mette la capezzina e stringe la museruola.
il filetto migliore è quello in acciaio (vuoto) o in metallo bianco, perché è inodore, insapore, ha una superficie la più liscia che esista, non è modificabile dall'usura, si può pulire alla perfezione. E' il più leggero, nel significato equestre. E' quello che infastidisce meno. Ovviamente tutto dipende dalle mani del cavaliere.
Quel che segue è anatomia, non equitazione.
Siccome l'articolazione temporo-mandibolare, l'articolazione della mandibola con l'osso mascellare, che consente l'apertura e la chiusura della bocca, si trova a circa 2 cm sotto e davanti agli orecchi, basta una bella capezzina con museruola piatta (alta cm 3), imbottita o no, che passa due traverse di dita (circa 4 cm) sopra la commessura delle labbra (per non pizzicarle tra ferro e cuoio), aderente al muso, non stretta, per "chiudere la bocca". Senza dar fastidio o limitare la respirazione, tanto importante, vitale, sempre, ma soprattutto quando il cavallo è sotto sforzo e ha bisogno di più ossigeno. Ripeto: l'aria entra soltanto dalle narici del cavallo e non anche dalla bocca, come nell'uomo.
Quel che segue è fisiologia non equitazione.
Sotto sforzo nel cavallo la respirazione aumenta di frequenza (atti respiratori) e arriva anche a 120 atti respiratori al minuto. A riposo il cavallo inspira dai 7 agli 8 litri per ogni atto respiratorio. arriva ai 10-12 litri per ogni atto respiratorio sotto sforzo. Questo è il bisogno. Durante lo sforzo i cavalli possono aumentare da 33 a 35 volte il consumo di ossigeno.
Osservi le pareti delle narici come si gonfiano al galoppo durante uno sforzo sostenuto e le osservi quando un chiudi bocca le attraversa in diagonale.
Limitare questo bisogno anche con una leggera pressione sul tessuto esterno delle narici, che è cedevolissimo, non è certamente un beneficio per il cavallo.
L'equitazione deve obbligatoriamente rispettare l'anatomia e la fisiologia.
La capezzina fa parte della testiera tradizionale. E' anche un fatto di eleganza.
Ma non è obbligatoria. Se lei si trova bene con il suo cavallo senza capezzina, quindi senza museruola, lo monti senza capezzina.
Ma l'avverto: è considerato bardato più elegantemente, dalla tradizione equestre, un cavallo con testiera provvista di capezzina.
Se vuole può allargare la museruola per non renderla neppure aderente.
del rame penso malissimo e non lo metterei nella bocca di un mio cavallo o di un cavallo che lavora con me, per via del gusto e di altre questioni che produrrebbe (reazioni chimiche?), di cui ho letto. E così bello l'acciaio o il metallo bianco. Perché vuol mettere il rame?
provi il procedimento seguente. Quasi sempre ha dato risultati.
Metta una testiera senza museruola alla cavalla con un filetto sottile, diametro di circa cm 1, con uno snodo, ben aggiustato, a contatto delle commessure delle labbra senza tirarle verso l'alto. Non ci debbono essere pieghe, ma il ferro non deve neppure pendere troppo in basso sulla lingua. Levi le redini. Lasci, dopo il lavoro, la testiera con il filetto in bocca alla cavalla fino al giorno successivo e ripeta per più giorni finché la cavalla si abituerà e terrà a lingua a posto.
La cavalla potrà mangiare e bere comunque.
Se non ottenesse un risultato tra qualche giorno, me lo faccia sapere. Comunque, se vuole, mi faccia sapere e le darò altri suggerimenti. Perché il momento delicato è quando riprenderà le redini in mano.
domenica 19 gennaio 2014
Quinta gamba
Se lei ha letto Capire l'equitazione di Saint-Fort Paillard avrà acquisito il convincimento che con le redini non è possibile sostenere il cavallo perché le redini sono nelle mani del cavaliere e il cavaliere fa parte del cavallo. E' come immaginare di avere un ragazzo sulle nostre spalle che tiene in mano due redini attaccate in qualche modo al nostro capo (una fascia intorno alla fronte che abbia la funzione della museruola del cavallo). Se noi inciampassimo e perdessimo l'equilibrio, il ragazzo potrebbe tirare con tutta la sua forza le redini, ma sarebbe coinvolto nella caduta, perché non è esterno al nostro corpo, ma ne fa parte. E' vero? E’ logica, non equitazione.
L. de Sévy (pseudonimo del capitano Yves-Louis-Marie Turquet de Beauregard) nei suoi preziosi tre libri (Saut d'obstacle et galop de course, 1918; Les allures, le cavalier, 1919; Assiette, Allures, et Réactions, 1919) e, dopo di lui, il generale Albert Decarpentry (Equitation académique, 1949) e il dottore veterinario Marcel André (Mécanique équestre, 1950) hanno dimostrato che l’innalzamento del bilanciere (collo e testa) non corrisponde a un alleggerimento del treno anteriore (la parte del corpo del cavallo che sta davanti al cavaliere), ma, nel tempo in cui avviene l’innalzamento, corrisponde a un aumento di peso sulle spalle.
L. de Sévy (pseudonimo del capitano Yves-Louis-Marie Turquet de Beauregard) nei suoi preziosi tre libri (Saut d'obstacle et galop de course, 1918; Les allures, le cavalier, 1919; Assiette, Allures, et Réactions, 1919) e, dopo di lui, il generale Albert Decarpentry (Equitation académique, 1949) e il dottore veterinario Marcel André (Mécanique équestre, 1950) hanno dimostrato che l’innalzamento del bilanciere (collo e testa) non corrisponde a un alleggerimento del treno anteriore (la parte del corpo del cavallo che sta davanti al cavaliere), ma, nel tempo in cui avviene l’innalzamento, corrisponde a un aumento di peso sulle spalle.
venerdì 17 gennaio 2014
Puledro ed equilibrio
Un puledro di tre quattro anni, mai montato in precedenza ne’ lavorato (allenato) alla corda o in corridoio, non ha la forza sufficiente di portare un cavaliere agevolmente, soprattutto se il peso del cavaliere piu’ quello della sella e dei finimenti non e’ adeguato (e’ superiore) alla sua stazza. E’ ovvio che per un certo periodo debba incorrere nelle difficolta’ di locomozione che sono anche quelle dell’uomo caricato, magari male, di un peso esagerato.
Un preventivo lavoro intelligente fatto da terra prepara il puledro muscolarmente e gli da’ il fiato necessario per affrontare il nuovo lavoro con il nuovo ingombro sul dorso. Le difficolta’ della locomozione vengono di molto ridotte o annullate e vengono ridotti o eliminati i rischi di incidenti (perdite di equilibrio e cadute).
Se il puledro e’ lasciato assolutamente libero di disporre istintivamente del suo bilanciere (testa-collo=minimo contatto delle mani attraverso le redini sulla bocca o, meglio, nessun contatto, il che non vuol dire che per dirigere e regolare la velocita’ dell’andatura il contatto non debba essere preso dolcemente), il puledro provvede a regolare da se’ la locomozione anche in terreno vario, non uniforme, accidentato, in dislivello. Anzi, questa diventa la migliore ginnastica per sviluppare la sua destrezza con il nuovo peso su qualsiasi terreno. Fino al punto di rendere capace il puledro di non commettere alcun errore anche in situazioni di difficolta’ e ad andature sostenute.
Poiche’ il cavaliere non e’ un peso che, tranne nei casi dei cavalieri capaci e confermati, faccia corpo unico con quello del cavallo, ma ha movimenti propri nel senso longitudinale e in quello laterale, tanto piu’ influenti quanto e’ maggiore il peso del cavaliere, il puledro provvede a sistemare continuamente con spostamenti e gesti del bilanciere l’ingombro che trasporta. Non solo il puledro, ma lo fa anche il cavallo adulto. Poiche’ non puo’ agire direttamente sul trasportato, agisce sulla base di appoggio del trasportato che sono se’ stesso e i suoi arti e li dispone adeguatamente. Tutto questo aggiustamento puo’ avvenire, ripeto e sottolineo, solo se il bilanciere e’ lasciato libero di muoversi istintivamente. Se non e’ lasciato libero di muoversi, perche’ il cavaliere crede erroneamente di poter far muovere meglio o con maggior sicurezza il puledro con l’intervento degli aiuti sulla posizione dell’incollatura, il puledro rimedia istintivamente con brevi ma potenti gesti, spesso inavvertiti dal cavaliere non competente, per equilibrare la propria massa con il peso che trasporta.
La condizione migliore per il puledro, affinche’ il trasporto avvenga nel modo piu’ facile e’ che il peso del cavaliere sia sistemato verso il garrese (arco anteriore della sella), cioe’ all’incirca sul baricentro del cavallo che, nel cavallo fermo e piazzato, si trova approssimativamente tra il secondo e il terzo medio dell’ottava costola. E che il peso del cavaliere faccia il piu’ possibile corpo unico con quello del puledro, annullando o limitando al massimo i movimenti propri in disaccordo con quelli del puledro.
A proposito di cavalli presi dalle mani di cavalieri che accorciano il loro bilanciere fino all’incappucciamento totale, si osservi con attenzione il loro comportamento. E’ solo con il gesto del bilanciere, pur ridotto nell’estensione e quindi nella potenza, e con grande sforzo che riescono a trarsi d’impaccio e a compiere i movimenti e i salti che il cavaliere richiede.
Un preventivo lavoro intelligente fatto da terra prepara il puledro muscolarmente e gli da’ il fiato necessario per affrontare il nuovo lavoro con il nuovo ingombro sul dorso. Le difficolta’ della locomozione vengono di molto ridotte o annullate e vengono ridotti o eliminati i rischi di incidenti (perdite di equilibrio e cadute).
Se il puledro e’ lasciato assolutamente libero di disporre istintivamente del suo bilanciere (testa-collo=minimo contatto delle mani attraverso le redini sulla bocca o, meglio, nessun contatto, il che non vuol dire che per dirigere e regolare la velocita’ dell’andatura il contatto non debba essere preso dolcemente), il puledro provvede a regolare da se’ la locomozione anche in terreno vario, non uniforme, accidentato, in dislivello. Anzi, questa diventa la migliore ginnastica per sviluppare la sua destrezza con il nuovo peso su qualsiasi terreno. Fino al punto di rendere capace il puledro di non commettere alcun errore anche in situazioni di difficolta’ e ad andature sostenute.
Poiche’ il cavaliere non e’ un peso che, tranne nei casi dei cavalieri capaci e confermati, faccia corpo unico con quello del cavallo, ma ha movimenti propri nel senso longitudinale e in quello laterale, tanto piu’ influenti quanto e’ maggiore il peso del cavaliere, il puledro provvede a sistemare continuamente con spostamenti e gesti del bilanciere l’ingombro che trasporta. Non solo il puledro, ma lo fa anche il cavallo adulto. Poiche’ non puo’ agire direttamente sul trasportato, agisce sulla base di appoggio del trasportato che sono se’ stesso e i suoi arti e li dispone adeguatamente. Tutto questo aggiustamento puo’ avvenire, ripeto e sottolineo, solo se il bilanciere e’ lasciato libero di muoversi istintivamente. Se non e’ lasciato libero di muoversi, perche’ il cavaliere crede erroneamente di poter far muovere meglio o con maggior sicurezza il puledro con l’intervento degli aiuti sulla posizione dell’incollatura, il puledro rimedia istintivamente con brevi ma potenti gesti, spesso inavvertiti dal cavaliere non competente, per equilibrare la propria massa con il peso che trasporta.
La condizione migliore per il puledro, affinche’ il trasporto avvenga nel modo piu’ facile e’ che il peso del cavaliere sia sistemato verso il garrese (arco anteriore della sella), cioe’ all’incirca sul baricentro del cavallo che, nel cavallo fermo e piazzato, si trova approssimativamente tra il secondo e il terzo medio dell’ottava costola. E che il peso del cavaliere faccia il piu’ possibile corpo unico con quello del puledro, annullando o limitando al massimo i movimenti propri in disaccordo con quelli del puledro.
A proposito di cavalli presi dalle mani di cavalieri che accorciano il loro bilanciere fino all’incappucciamento totale, si osservi con attenzione il loro comportamento. E’ solo con il gesto del bilanciere, pur ridotto nell’estensione e quindi nella potenza, e con grande sforzo che riescono a trarsi d’impaccio e a compiere i movimenti e i salti che il cavaliere richiede.
giovedì 16 gennaio 2014
Potenza
Oggi ci sono in circolazione per concorsi nazionali e internazionali cavalli di molti mezzi, molto potenti, che hanno nei posteriori molto più di due metri. Con questi cavalli, data l’altezza considerevole che debbono superare e dato il modo in cui sono stati addestrati, il problema è uno solo: arrivare a prendere la battuta nel punto giusto. L’intervento regolatore è del cavaliere. L’occhio alla battuta – in genere, almeno nelle intenzioni - è del cavaliere. I cavalli hanno bisogno di una buona carica psichica e ottima e precisa rispondenza agli aiuti del cavaliere. La battuta giusta non è uguale per tutti i cavalli. La distanza dal piede dell’ostacolo, anche se si tratta di un muro, quindi di un dritto, può variare anche notevolmente. Anni fa mi sono dedicato a misurare le distanze dal piede di un muro alla battuta di vari cavalli che lo avevano superato netto a m.1.80. Andavano da m 2.50 a cm 80. I cavalli che battevano vicino erano meno potenti e in compenso molto agili. Sfruttavano la capacità come di arrotolarsi sulla sommità, senza alzare troppo la parte inferiore del torace rispetto alla sommità del muro. I cavalli molto potenti preferivano predere una battuta più lontana per non dover ricorrere alla loro agilità, piuttosto ridotta, e non davano prova di molta rotondità sull’ostacolo. Il cavaliere, quando conosce bene il suo cavallo e lo sa interpretare bene, cerca di prendere la battuta alla distanza che il cavallo preferisce. E’ una questione di sensibilità più che di occhio. Così il buon cavaliere che monta due cavalli diversi, si comporta in due modi diversi. Per esempio: Raimondo d’Inzeo in potenza ha montato (nella stessa gara) due cavalli diametralmente opposti: The Quiet Man e Posillipo. Il primo era un baione irlandese grande e pesante, piuttosto freddo, certamente non agile. Il secondo era un leggero sauro salernitano molto insanguato, agilissimo e di mezzi certamente inferiori al primo. Il cavaliere aveva due modi di “attaccare” l’ostacolo isolato (muro o triplice) completamente diversi e montava ciascun cavallo in un modo differente, ma sempre lo stesso con lo stesso cavallo.
Colgo l’occasione per riferire a titolo di aneddoto le parole (pronunciate ai Pratoni del Vivaro nell’aula didattica la mattina del 30 settembre 1992 durante una visita a un corso istruttori che chi scrive stava dirigendo) del generale Antonio Gutierrez che, a Piazza di Siena (Roma), il 27 ottobre 1938, allora capitano, montando l’irlandese Osoppo, ex Frothblower, di proprietà dello Stato (Scuola di cavalleria), baio di altezza al garrese di m 1.79 e dell’età di 15 anni, in briglia (morso e filetto), superò una siepe inclinata dell’altezza di m 1.40 sormontata da otto grosse barriere rivestite di paglia che portavano l’ostacolo a m 2.44, conquistando il record del mondo di altezza che dopo undici anni fu battuto dal cileno cap.Arraguibel con m 2.47. Le parole del gen. Gutierrez non sono state registrate, ma assicuro che il loro senso è il seguente: “Avevo già vinto il campionato italiano di elevazione a m 2.20. Dalla giuria mi è stato domandato se volevo continuare e tentare i m 2.30. Mi sentivo molto bene e soprattutto sentivo il cavallo molto in palla. Ho risposto di si. Dal pubblico qualcuno ha gridato 2.40. La giuria mi ha interpellato. Ho accettato. L’ostacolo è stato alzato a m 2.40, ma siccome la barriera sembrava non arrivare esattamente a m 2.40, la giuria ha deciso di alzare ancora di un buco. Mentre trafficavano intorno all’ostacolo, sono andato nel campo di prova e ho lavorato al passo e trotto, facendo qualche alt. Poi un piccolo galoppo e alt. Poi mi sono rimesso al passo a redini lunghe. Quando il presidente di giuria mi ha chiamato, sono entrato in campo al passo, ho preso il trotto, poi il galoppo, mi sono diretto da lontano verso l’ostacolo a un galoppo deciso, ma controllato, senza alcun intervento delle mani, tenendo un contatto fermo e sempre uguale. Il cavallo ha preso la sua battuta. Al primo terzo della traiettoria ho alzato il braccio destro con la frusta, ma più per aiutare il mio busto ad avanzare che per il cavallo. Non ho toccato il cavallo. Tutto qui”. Ha finito con “tutto qui” il suo racconto. Il generale Gutierrez era un uomo ironico e simpatico, soprattutto dotato di molta autoironia. Ha accompagnato il racconto con gesti delle braccia molto eloquenti (avvicinamento e superamento). Lo stesso racconto lo può trovare a pag.421 e seguenti del libro del generale Mario Badino Rossi, Pinerolo, l’arte equestre italiana, la sua fucina, i suoi artefici, Tipografia dei padri Giuseppini, Pinerolo 1960.
Colgo l’occasione per riferire a titolo di aneddoto le parole (pronunciate ai Pratoni del Vivaro nell’aula didattica la mattina del 30 settembre 1992 durante una visita a un corso istruttori che chi scrive stava dirigendo) del generale Antonio Gutierrez che, a Piazza di Siena (Roma), il 27 ottobre 1938, allora capitano, montando l’irlandese Osoppo, ex Frothblower, di proprietà dello Stato (Scuola di cavalleria), baio di altezza al garrese di m 1.79 e dell’età di 15 anni, in briglia (morso e filetto), superò una siepe inclinata dell’altezza di m 1.40 sormontata da otto grosse barriere rivestite di paglia che portavano l’ostacolo a m 2.44, conquistando il record del mondo di altezza che dopo undici anni fu battuto dal cileno cap.Arraguibel con m 2.47. Le parole del gen. Gutierrez non sono state registrate, ma assicuro che il loro senso è il seguente: “Avevo già vinto il campionato italiano di elevazione a m 2.20. Dalla giuria mi è stato domandato se volevo continuare e tentare i m 2.30. Mi sentivo molto bene e soprattutto sentivo il cavallo molto in palla. Ho risposto di si. Dal pubblico qualcuno ha gridato 2.40. La giuria mi ha interpellato. Ho accettato. L’ostacolo è stato alzato a m 2.40, ma siccome la barriera sembrava non arrivare esattamente a m 2.40, la giuria ha deciso di alzare ancora di un buco. Mentre trafficavano intorno all’ostacolo, sono andato nel campo di prova e ho lavorato al passo e trotto, facendo qualche alt. Poi un piccolo galoppo e alt. Poi mi sono rimesso al passo a redini lunghe. Quando il presidente di giuria mi ha chiamato, sono entrato in campo al passo, ho preso il trotto, poi il galoppo, mi sono diretto da lontano verso l’ostacolo a un galoppo deciso, ma controllato, senza alcun intervento delle mani, tenendo un contatto fermo e sempre uguale. Il cavallo ha preso la sua battuta. Al primo terzo della traiettoria ho alzato il braccio destro con la frusta, ma più per aiutare il mio busto ad avanzare che per il cavallo. Non ho toccato il cavallo. Tutto qui”. Ha finito con “tutto qui” il suo racconto. Il generale Gutierrez era un uomo ironico e simpatico, soprattutto dotato di molta autoironia. Ha accompagnato il racconto con gesti delle braccia molto eloquenti (avvicinamento e superamento). Lo stesso racconto lo può trovare a pag.421 e seguenti del libro del generale Mario Badino Rossi, Pinerolo, l’arte equestre italiana, la sua fucina, i suoi artefici, Tipografia dei padri Giuseppini, Pinerolo 1960.
mercoledì 15 gennaio 2014
Montare bene sugli ostacoli
Montare bene sugli ostacoli vuol dire galoppare verso l’ostacolo sentendo il cavallo e guardando l’ostacolo. Aver occhio alla distanza vuol dire sentire la lunghezza della falcata di galoppo e rendersi conto se tra il punto in cui ci troviamo nel momento in cui stimiamo la distanza e l’ostacolo c’è un numero giusto di falcate in modo da arrivare a fare la battuta nel punto più utile per quel dato tipo di ostacolo. Vuol dire allora raccorciare le falcate o allungarle per arrivare con l’ultima falcata di galoppo (appoggio dell’anteriore destro se galoppiamo sul destro) là dove l’appoggio del primo anteriore poi del secondo frenano la massa, portano peso sul posteriore e contemporaneamente i due posteriori compiono il loro appoggio, dove hanno battuto gli anteriori), si caricano del peso del corpo e lo spingono in alto e in avanti. L’occhio del cavaliere non basta per arrivare giusto. Ci vuole il sentimento del movimento del cavallo, cioè, in questo caso, della lunghezza delle falcate di galoppo. Il cavaliere ottimo o buono è quello che sa sentire se il cavallo è giusto o sbagliato da lontano e non deve ricorrere a bruschi interventi delle mani per rallentare l’andatura (accorciare le falcate) all’ultimo momento, ciò che può togliere l’impulso necessario per superare l’ostacolo, specialmente se si tratta di un largo o di una combinazione (gabbia, doppia gabbia).
Cosa bisogna fare per imparare? Molti dicono che è una dote naturale, come la bella voce o la buona mano per disegnare. Ci sono vari modi per aiutare la natura. Uno è il seguente. Bisogna mettersi al galoppo in circolo lontano in direzione di un ostacolo semplice e invitante, basso, pieno (un oxer con siepi, un oxer con cancelli, un muro, … in modo che il cavallo abbia rispetto), e da lontano bisogna dirigersi verso l’ostacolo solo quando il cavallo sarà giusto in mano, leggero, quando non tirerà e andrà rilassato e calmo verso l’ostacolo, quando ci si sentirà insomma in grado di ridurre o aumentare la velocità (brutta parola in equitazione, ma, per parlare chiaro, è proprio così, velocità da cui dipendono la lunghezza e la frequenza delle falcate di galoppo) avendo un completo controllo del cavallo. Quando si va a saltare da lontano si esercita l’occhio e (non essendoci problemi di gara) ci si dedica ad “ascoltare” il cavallo, per sentirne equilibrio e andatura. Bisogna soprattutto abituarsi ad ascoltare. Poi diventa come andare a tempo con il compagno o la compagna di ballo. Non c’è bisogno di guardare). Si mette a punto il proprio giudizio della distanza (un congegno che accorda istintivamente, telemetrando, la lunghezza delle falcate con la distanza che viene via via diminuendo) aumentando o accorciando la lunghezza delle falcate di galoppo. Per far questo bisogna che il cavallo sia perfettamente rispondente alle azioni delle mani e delle gambe. Si ripete e si interviene soltanto se stimiamo che la battuta non venga giusta. Ci si renderà conto che, messo in questa situazione ideale, il cavallo prenderà coscienza dell’ostacolo e con il suo occhio stimerà la distanza e poco per volta ci aiuterà ad arrivare sempre giusti. Per il cavallo è facile fare questo (se addestrato opportunamente in questo modo): va verso l’ostacolo ad un galoppo vivo e, man mano che si avvicina alla battuta, rallenta la velocità, compie falcate più corte. In questo modo sposta il suo equilibrio indietro ed è come se incamerasse impulso o comprimesse la molla che lo farà poi scattare nel momento della battuta.
Se invece il cavaliere considera il cavallo un motore o una sorgente di forza privi di istinto e vuole fare tutto lui (perché pensa che il cavallo da solo non sia capace a saltare e a trovare la battuta giusta, cioè vedere le distanze) e lo prende tra mani e gambe (in genere più con le mani e poco con le gambe, prendendo e accorciando l’incollatura, cioè il bilanciere), imponendogli quello che deve fare, cioè numero di falcate, annullando ogni sua iniziativa, se non quella di compiere lo sforzo per superare l’ostacolo, allora il cavallo diventerà uno strumento meccanico che non metterà la minima collaborazione e sbaglierà ogni volta che il cavaliere sbaglia.
Sono due modi opposti di intendere lo sport equestre di salto ostacoli. Il primo può diventare arte, il secondo è e rimane solo mestiere, più o meno perfezionato, con un certo grado di forza. Un po’ un ritorno alle origini della storia del salto (fine Ottocento), quando i cavalieri credevano, anzi erano convinti che bisognasse “alzare la bestia” con le redini ai piedi dell’ostacolo e tenerla affinché non cadesse al ritorno a terra.
Cosa bisogna fare per imparare? Molti dicono che è una dote naturale, come la bella voce o la buona mano per disegnare. Ci sono vari modi per aiutare la natura. Uno è il seguente. Bisogna mettersi al galoppo in circolo lontano in direzione di un ostacolo semplice e invitante, basso, pieno (un oxer con siepi, un oxer con cancelli, un muro, … in modo che il cavallo abbia rispetto), e da lontano bisogna dirigersi verso l’ostacolo solo quando il cavallo sarà giusto in mano, leggero, quando non tirerà e andrà rilassato e calmo verso l’ostacolo, quando ci si sentirà insomma in grado di ridurre o aumentare la velocità (brutta parola in equitazione, ma, per parlare chiaro, è proprio così, velocità da cui dipendono la lunghezza e la frequenza delle falcate di galoppo) avendo un completo controllo del cavallo. Quando si va a saltare da lontano si esercita l’occhio e (non essendoci problemi di gara) ci si dedica ad “ascoltare” il cavallo, per sentirne equilibrio e andatura. Bisogna soprattutto abituarsi ad ascoltare. Poi diventa come andare a tempo con il compagno o la compagna di ballo. Non c’è bisogno di guardare). Si mette a punto il proprio giudizio della distanza (un congegno che accorda istintivamente, telemetrando, la lunghezza delle falcate con la distanza che viene via via diminuendo) aumentando o accorciando la lunghezza delle falcate di galoppo. Per far questo bisogna che il cavallo sia perfettamente rispondente alle azioni delle mani e delle gambe. Si ripete e si interviene soltanto se stimiamo che la battuta non venga giusta. Ci si renderà conto che, messo in questa situazione ideale, il cavallo prenderà coscienza dell’ostacolo e con il suo occhio stimerà la distanza e poco per volta ci aiuterà ad arrivare sempre giusti. Per il cavallo è facile fare questo (se addestrato opportunamente in questo modo): va verso l’ostacolo ad un galoppo vivo e, man mano che si avvicina alla battuta, rallenta la velocità, compie falcate più corte. In questo modo sposta il suo equilibrio indietro ed è come se incamerasse impulso o comprimesse la molla che lo farà poi scattare nel momento della battuta.
Se invece il cavaliere considera il cavallo un motore o una sorgente di forza privi di istinto e vuole fare tutto lui (perché pensa che il cavallo da solo non sia capace a saltare e a trovare la battuta giusta, cioè vedere le distanze) e lo prende tra mani e gambe (in genere più con le mani e poco con le gambe, prendendo e accorciando l’incollatura, cioè il bilanciere), imponendogli quello che deve fare, cioè numero di falcate, annullando ogni sua iniziativa, se non quella di compiere lo sforzo per superare l’ostacolo, allora il cavallo diventerà uno strumento meccanico che non metterà la minima collaborazione e sbaglierà ogni volta che il cavaliere sbaglia.
Sono due modi opposti di intendere lo sport equestre di salto ostacoli. Il primo può diventare arte, il secondo è e rimane solo mestiere, più o meno perfezionato, con un certo grado di forza. Un po’ un ritorno alle origini della storia del salto (fine Ottocento), quando i cavalieri credevano, anzi erano convinti che bisognasse “alzare la bestia” con le redini ai piedi dell’ostacolo e tenerla affinché non cadesse al ritorno a terra.
Partenza al galoppo
Tutto quello che facciamo e otteniamo dal cavallo in fatto di obbedienza, quindi di esecuzione della nostra volontà, è frutto di una serie di convenzioni, di un linguaggio convenzionale. Il cosiddetto linguaggio degli aiuti è un linguaggio convenzionale che abbiamo stabilito tra noi e il cavallo affinché ci comprenda per ottenerne l'obbedienza.
Dal punto di vista della tecnica strettamente equestre, siccome lo scopo è di far prendere il galoppo a un cavallo il più possibile diritto, si tiene conto del seguente fatto: al galoppo destro (osservazione della locomozione) il cavallo galoppa avanzando il laterale destro rispetto al sinistro (i piedi destri si posano davanti ai piedi sinistri). Viceversa per il galoppo sinistro. Tutte le azioni che hanno il risultato di mettere, nella partenza, il laterale destro avanti rispetto al sinistro hanno come risultato la partenza sul piede destro.
« Il che si può ottenere:
1. ritardando la spalla sinistra;
2. mettendo avanti la spalla destra;
3. abbassando l’anca sinistra;
4. sollevando l’anca destra.
Come?
1. Una resistenza della redine sinistra diretta d’opposizione ritarda la spalla sinistra e sposta le anche verso destra;
2. Un effetto di redine contraria destra d’opposizione davanti al garrese (o alle spalle), siccome fa rifluire peso sulla spalla sinistra, permette l’avanzamento della spalla destra mentre sposta le anche a destra;
3. Un’azione della gamba sinistra, associata a quella della redine sinistra diretta d’opposizione, fa deviare l’anca sinistra verso destra e la stimola ad abbassarsi;
4. L’azione della gamba destra alla cinghia attira il posteriore destro in avanti e invita l’anca destra a sollevarsi.
L’ultima azione della gamba è un effetto più che altro dell’addestramento che un effetto naturale: permette la partenza più corretta perché il cavallo prende il galoppo senza traversarsi. Ma può essere richiesta solo alla fine dell’addestramento, con cavalli abbastanza fini».
Tutto quello che precede tra virgolette è tratto dal Manuale di equitazione della Federazione Francese di Equitazione, che è fatto, grazie al cielo, molto bene. Non è questione di stile, scuole o sistemi, sistema francese o sistema italiano o tedesco. E’ soltanto il risultato dello studio della locomozione.
Perciò: partenza al galoppo destro con aiuti diagonali (gamba sinistra, redine destra) più facile, ma pericolo di spostare le anche a destra. Partenza con aiuti laterali (gamba destra, redine destra), con cavallo completamente addestrato (relativamente, perché può avvenire anche prima per mezzo dell’associazione per contiguità), cavallo più dritto.
Il più o meno diritto vale naturalmente per un cavallo che si presenta davanti a una giuria nel rettangolo. Nel salto il meno non è un errore fatale. Che fa perdere una categoria.
Ma legga il seguito.
Nel 1892 (ne ho già scritto) il professor Gustave Le Bon, medico ed etnologo francese, psicologo, etologo ante litteram, e cavaliere, ha pubblicato un libro importante nella storia della letteratura equestre, L'équitation actuelle et ses principes, nel quale, per la prima volta, ha descritto le basi psicologiche dell'addestramento e ha dimostrato che la legge, il principio di «associazione per contiguità» è alla base di tutta l'educazione, di tutto l’addestramento del cavallo. Il principio è il seguente: «Quando più impressioni sono state prodotte simultaneamente o si sono succedute immediatamente, è sufficiente che l’una sia presente alla mente affinché anche le altre subito si presentino».
Per spiegare in cosa consiste il principio di «associazione per contiguità» applicato al cavallo espone il caso più difficile: addestrare il cavallo a fermarsi dal trotto e dal galoppo con un colpo di frusta. Per riuscire basta toccare con la frusta il collo del cavallo e immediatamente dopo fermarlo con le redini. Si ripete l’esercizio un numero di volte sufficiente affinché il cavallo associ queste due azioni successive: colpo della frusta e alt. Dopo un numero sufficiente di ripetizioni, il solo colpo della frusta è sufficiente per fermare il cavallo.
Lo stesso principio vale per ogni altro insegnamento.
Perciò lei, applicando il principio sopra menzionato, può insegnare al cavallo a partire al galoppo come desidera. Forse non soffiandosi il naso perché per il cavallo è, eventualmente, solo un rumore. Ma non è escluso. Tenendo però conto che, dal punto di vista equestre, la partenza con le azioni descritte sopra è la più razionale.
Dal punto di vista della tecnica strettamente equestre, siccome lo scopo è di far prendere il galoppo a un cavallo il più possibile diritto, si tiene conto del seguente fatto: al galoppo destro (osservazione della locomozione) il cavallo galoppa avanzando il laterale destro rispetto al sinistro (i piedi destri si posano davanti ai piedi sinistri). Viceversa per il galoppo sinistro. Tutte le azioni che hanno il risultato di mettere, nella partenza, il laterale destro avanti rispetto al sinistro hanno come risultato la partenza sul piede destro.
« Il che si può ottenere:
1. ritardando la spalla sinistra;
2. mettendo avanti la spalla destra;
3. abbassando l’anca sinistra;
4. sollevando l’anca destra.
Come?
1. Una resistenza della redine sinistra diretta d’opposizione ritarda la spalla sinistra e sposta le anche verso destra;
2. Un effetto di redine contraria destra d’opposizione davanti al garrese (o alle spalle), siccome fa rifluire peso sulla spalla sinistra, permette l’avanzamento della spalla destra mentre sposta le anche a destra;
3. Un’azione della gamba sinistra, associata a quella della redine sinistra diretta d’opposizione, fa deviare l’anca sinistra verso destra e la stimola ad abbassarsi;
4. L’azione della gamba destra alla cinghia attira il posteriore destro in avanti e invita l’anca destra a sollevarsi.
L’ultima azione della gamba è un effetto più che altro dell’addestramento che un effetto naturale: permette la partenza più corretta perché il cavallo prende il galoppo senza traversarsi. Ma può essere richiesta solo alla fine dell’addestramento, con cavalli abbastanza fini».
Tutto quello che precede tra virgolette è tratto dal Manuale di equitazione della Federazione Francese di Equitazione, che è fatto, grazie al cielo, molto bene. Non è questione di stile, scuole o sistemi, sistema francese o sistema italiano o tedesco. E’ soltanto il risultato dello studio della locomozione.
Perciò: partenza al galoppo destro con aiuti diagonali (gamba sinistra, redine destra) più facile, ma pericolo di spostare le anche a destra. Partenza con aiuti laterali (gamba destra, redine destra), con cavallo completamente addestrato (relativamente, perché può avvenire anche prima per mezzo dell’associazione per contiguità), cavallo più dritto.
Il più o meno diritto vale naturalmente per un cavallo che si presenta davanti a una giuria nel rettangolo. Nel salto il meno non è un errore fatale. Che fa perdere una categoria.
Ma legga il seguito.
Nel 1892 (ne ho già scritto) il professor Gustave Le Bon, medico ed etnologo francese, psicologo, etologo ante litteram, e cavaliere, ha pubblicato un libro importante nella storia della letteratura equestre, L'équitation actuelle et ses principes, nel quale, per la prima volta, ha descritto le basi psicologiche dell'addestramento e ha dimostrato che la legge, il principio di «associazione per contiguità» è alla base di tutta l'educazione, di tutto l’addestramento del cavallo. Il principio è il seguente: «Quando più impressioni sono state prodotte simultaneamente o si sono succedute immediatamente, è sufficiente che l’una sia presente alla mente affinché anche le altre subito si presentino».
Per spiegare in cosa consiste il principio di «associazione per contiguità» applicato al cavallo espone il caso più difficile: addestrare il cavallo a fermarsi dal trotto e dal galoppo con un colpo di frusta. Per riuscire basta toccare con la frusta il collo del cavallo e immediatamente dopo fermarlo con le redini. Si ripete l’esercizio un numero di volte sufficiente affinché il cavallo associ queste due azioni successive: colpo della frusta e alt. Dopo un numero sufficiente di ripetizioni, il solo colpo della frusta è sufficiente per fermare il cavallo.
Lo stesso principio vale per ogni altro insegnamento.
Perciò lei, applicando il principio sopra menzionato, può insegnare al cavallo a partire al galoppo come desidera. Forse non soffiandosi il naso perché per il cavallo è, eventualmente, solo un rumore. Ma non è escluso. Tenendo però conto che, dal punto di vista equestre, la partenza con le azioni descritte sopra è la più razionale.
martedì 14 gennaio 2014
Cavallo forte in mano
A me pare una questione risolvibile con la quantità di lavoro preliminare, prima di galoppare e saltare.
Breve inciso. Noi spesso dimentichiamo di quanta e quale forza è provvisto un cavallo. L'energia la prende dal cibo, l'accumula durante il riposo. Noi lo "lavoriamo" un'ora, quando tutto va bene, delle ventiquattro di una giornata. Le altre ventitré lo chiudiamo in una piccola gabbia, piccola relativamente alle sue dimensioni, chiamata box. Dove può al massimo girare su se stesso. Crediamo di farlo lavorare di più mettendolo al prato. Al prato il cavallo non lavora. Si riposa, all'aperto. Fa una breve galoppatina, poi si ferma a mangiare, se c'è l'erba. Se non c'è, come capita la maggior parte delle volte, si mette in un angolo e lì sta, aspettando di rientrare in scuderia, che è la sua casa.
Le do il seguente consiglio, da mettere in pratica subito, domani stesso. Poi mi faccia sapere com'è andata e troveremo la soluzione.
Se potesse mettere il cavallo alla corda sarebbe l'ideale. Trotto, solo trotto, energico, deciso, in avanti, per almeno un'ora. Alle due mani. Frustone in mano, tenuto basso, che segue il cavallo nel circolo. Ogni tanto chiami a sé il cavallo e controlli la respirazione. Guardi l'estremità bassa dell'ultima costola. Se fosse affrettata, rapida, lo rimetta in circolo al passo. Cinque minuti di passo dovrebbero far tornare la frequenza a valori accettabili. E' l'unico controllo che deve fare. Se sudasse (mi pare un po' grasso. E' vero?) non ha importanza. Anzi gli fa bene. Il sudore è salute, se non è quello prodotto dal nervoso o da [i]surmenage[/i]. E riprenda il trotto.
Poi monti, faccia un po' di passo a redini abbandonate (vuol dire completamente allungate, tiene la fibbia con due dita), controlli la respirazione, e si metta al trotto, senza prendere contatto con la bocca, se non con la redine della girata. Poi lasci. Oppure un contatto intermittente, per fare ogni tanto passo e alt. Trotti a lungo. Un bel trotto allegro.
Non "lavori" il cavallo con le mani e con le gambe, non cerchi piego, flessioni o altre cose del genere, o passi laterali, eccetera. Il suo scopo è solo quello di avere un cavallo che si muove senza bisogno del controllo delle redini, al passo, al trotto, al galoppo.
Faccia un alt e provi a prendere il galoppo. Parte dal passo il cavallo? Altrimenti, senza esagerare la velocità del trotto, prenda il trotto e lo faccia partire durante una girata con la redine interna e un po' di gamba esterna. Pochissima gamba. Meglio il solo schiocco della lingua. Pochissime redini. Appena può stacchi il contatto. Se il cavallo accelerasse e si mettesse sulla mano, subito passo, alt. Poi di nuovo trotto, a lungo. Riprovi una partenza. Se sta al galoppo lento o medio (300, 350 m/m) continui a galoppare, cercando di lasciare il contatto. Galoppi a lungo su un grande circolo che restringe poco per volta finché il cavallo si mette da solo al trotto, poi al passo. Ripeta. Quando lei (non il cavallo) è stanca, si metta al passo a redini abbandonate, attenda che i valori del cavallo (cuore e respirazione) tornino quasi normali e lo riporti in box.
Lei stia leggera in sella. Accorci gli staffili di uno o due buchi. Ho visto che si siede volentieri e spinge con le natiche. Al galoppo, se galopperà, stacchi le natiche dalla paletta, avanzi le spalle, perché mi pare un po' troppo dritta (anche se è la moda attuale). Vuol dire leggerezza, non di peso, che non cambia, ma d'insieme con il movimento, di fusione, quella che piace al cavallo. Non un freno al quale il cavallo si oppone anche con il proprio peso. E il suo cavallo mi pare pesi.
Ha inteso il significato del lavoro? Ci pensi. E' importante. Faccia tutto per bene.
Mi sappia dire se ha fatto questo lavoro e com'era alla fine il cavallo. Deve fare il lavoro quando ha libere davanti a sé almeno due ore.
Breve inciso. Noi spesso dimentichiamo di quanta e quale forza è provvisto un cavallo. L'energia la prende dal cibo, l'accumula durante il riposo. Noi lo "lavoriamo" un'ora, quando tutto va bene, delle ventiquattro di una giornata. Le altre ventitré lo chiudiamo in una piccola gabbia, piccola relativamente alle sue dimensioni, chiamata box. Dove può al massimo girare su se stesso. Crediamo di farlo lavorare di più mettendolo al prato. Al prato il cavallo non lavora. Si riposa, all'aperto. Fa una breve galoppatina, poi si ferma a mangiare, se c'è l'erba. Se non c'è, come capita la maggior parte delle volte, si mette in un angolo e lì sta, aspettando di rientrare in scuderia, che è la sua casa.
Le do il seguente consiglio, da mettere in pratica subito, domani stesso. Poi mi faccia sapere com'è andata e troveremo la soluzione.
Se potesse mettere il cavallo alla corda sarebbe l'ideale. Trotto, solo trotto, energico, deciso, in avanti, per almeno un'ora. Alle due mani. Frustone in mano, tenuto basso, che segue il cavallo nel circolo. Ogni tanto chiami a sé il cavallo e controlli la respirazione. Guardi l'estremità bassa dell'ultima costola. Se fosse affrettata, rapida, lo rimetta in circolo al passo. Cinque minuti di passo dovrebbero far tornare la frequenza a valori accettabili. E' l'unico controllo che deve fare. Se sudasse (mi pare un po' grasso. E' vero?) non ha importanza. Anzi gli fa bene. Il sudore è salute, se non è quello prodotto dal nervoso o da [i]surmenage[/i]. E riprenda il trotto.
Poi monti, faccia un po' di passo a redini abbandonate (vuol dire completamente allungate, tiene la fibbia con due dita), controlli la respirazione, e si metta al trotto, senza prendere contatto con la bocca, se non con la redine della girata. Poi lasci. Oppure un contatto intermittente, per fare ogni tanto passo e alt. Trotti a lungo. Un bel trotto allegro.
Non "lavori" il cavallo con le mani e con le gambe, non cerchi piego, flessioni o altre cose del genere, o passi laterali, eccetera. Il suo scopo è solo quello di avere un cavallo che si muove senza bisogno del controllo delle redini, al passo, al trotto, al galoppo.
Faccia un alt e provi a prendere il galoppo. Parte dal passo il cavallo? Altrimenti, senza esagerare la velocità del trotto, prenda il trotto e lo faccia partire durante una girata con la redine interna e un po' di gamba esterna. Pochissima gamba. Meglio il solo schiocco della lingua. Pochissime redini. Appena può stacchi il contatto. Se il cavallo accelerasse e si mettesse sulla mano, subito passo, alt. Poi di nuovo trotto, a lungo. Riprovi una partenza. Se sta al galoppo lento o medio (300, 350 m/m) continui a galoppare, cercando di lasciare il contatto. Galoppi a lungo su un grande circolo che restringe poco per volta finché il cavallo si mette da solo al trotto, poi al passo. Ripeta. Quando lei (non il cavallo) è stanca, si metta al passo a redini abbandonate, attenda che i valori del cavallo (cuore e respirazione) tornino quasi normali e lo riporti in box.
Lei stia leggera in sella. Accorci gli staffili di uno o due buchi. Ho visto che si siede volentieri e spinge con le natiche. Al galoppo, se galopperà, stacchi le natiche dalla paletta, avanzi le spalle, perché mi pare un po' troppo dritta (anche se è la moda attuale). Vuol dire leggerezza, non di peso, che non cambia, ma d'insieme con il movimento, di fusione, quella che piace al cavallo. Non un freno al quale il cavallo si oppone anche con il proprio peso. E il suo cavallo mi pare pesi.
Ha inteso il significato del lavoro? Ci pensi. E' importante. Faccia tutto per bene.
Mi sappia dire se ha fatto questo lavoro e com'era alla fine il cavallo. Deve fare il lavoro quando ha libere davanti a sé almeno due ore.
domenica 12 gennaio 2014
Trotto Allungato
Premetto che non discuto l'affermazione del regolamento italiano. Tutte le novità introdotte o che modificano il vecchio regolamento internazionale alla cui redazione hanno concorso il generale Decarpentry e altri grandi maestri mi lasciano interdetto.
Sono andato a controllare. Il regolamento nazionale è la traduzione di quello internazionale della FEI. Tra l'altro la prima traduzione del regolamento internazionale in italiano, pubblicata dalla FISE nel (se non ricordo male)1975, è stata fatta, su richiesta della FISE, dal sottoscritto.
Non posso controllare il regolamento della FEI in vigore, non lo posseggo, che fa testo in tutti i paesi del mondo in cui ci sia una federazione equestre nazionale. Nel regolamento FEI che ho tradotto e che era in circolazione in Italia, all'articolo 404. 4. 4. relativo al «Trotto allungato», era scritto: «Gli zoccoli anteriori non devono posarsi dietro la loro proiezione sul suolo», il che vuol dire che il cavallo non deve fare il passo dell'oca, passo militare. Cioè: il cavallo deve allungare l'arto anteriore e posarlo esattamente sotto il punto di massima estensione al quale è arrivato. Il regolamento non scriveva di parallelismo. Non so se il termine sia nel vigente regolamento della FEI.
Le andature, se il cavallo è montato bene in modo che conservino la loro naturalezza, dipendono dal cavallo. Tanto è vero che il primo dei voti d'insieme che i giudici assegnano al termine della ripresa riguarda le «Andature (franchezza e regolarità)».
E' difficile, con l'addestramento classico, modificare il rapporto nell'estensione degli arti. Sarebbe un fatto da circo equestre. Non da equitazione accademica. Un cavaliere non può, nell'equitazione classica, aumentare l'estensione degli arti anteriori in confronto all'estensione di quelli posteriori. E' il motivo per cui, per esempio, il passo spagnolo non è un'andatura classica contemplata nelle riprese della FEI. Ma è considerata un'andatura di fantasia. Andature di fantasia che, come scrive il generale Decarpentry, «modificano le proporzioni del gioco naturale del treno anteriore e del treno posteriore».
Mentre un cavallo esegue la ripresa, che sia elementare o il gran premio, ed esegue il trotto allungato, il giudice può giudicare se gli arti anteriori si posano sotto il punto di massima estensione degli arti senza tornare indietro, ma non riesce a giudicare, data la velocità del movimento degli arti, se anteriori e posteriori sono perfettamente paralleli.
Se un cavallo in natura, al trotto allungato, sbraccia maggiormente con gli anteriori di quanto avanzi con i posteriori, è un suo modo che non è possibile definire un difetto di addestramento, perché così lo ha fatto la natura.
Difficilmente il giudice potrà sanzionarlo, perché non dispone della riprova della moviola o della fotografia istantanea. Tanto è vero che nel primo regolamento della FISE, traduzione di quello internazionale, il fatto non è contemplato.
In Kronos, poi, la differenza è talmente minima, che è proprio cercare il pelo nell'uovo.
Ho altre fotografie di Kronos al trotto allungato nel libro sull'olimpiade di Berlino del 1936 scritto da Gustav Rau, Die Reitkunst der Welt an den Olympischen Spielen 1936, pubblicato nel 1938. Il cosiddetto parallelismo è perfetto.
Sono andato a controllare. Il regolamento nazionale è la traduzione di quello internazionale della FEI. Tra l'altro la prima traduzione del regolamento internazionale in italiano, pubblicata dalla FISE nel (se non ricordo male)1975, è stata fatta, su richiesta della FISE, dal sottoscritto.
Non posso controllare il regolamento della FEI in vigore, non lo posseggo, che fa testo in tutti i paesi del mondo in cui ci sia una federazione equestre nazionale. Nel regolamento FEI che ho tradotto e che era in circolazione in Italia, all'articolo 404. 4. 4. relativo al «Trotto allungato», era scritto: «Gli zoccoli anteriori non devono posarsi dietro la loro proiezione sul suolo», il che vuol dire che il cavallo non deve fare il passo dell'oca, passo militare. Cioè: il cavallo deve allungare l'arto anteriore e posarlo esattamente sotto il punto di massima estensione al quale è arrivato. Il regolamento non scriveva di parallelismo. Non so se il termine sia nel vigente regolamento della FEI.
Le andature, se il cavallo è montato bene in modo che conservino la loro naturalezza, dipendono dal cavallo. Tanto è vero che il primo dei voti d'insieme che i giudici assegnano al termine della ripresa riguarda le «Andature (franchezza e regolarità)».
E' difficile, con l'addestramento classico, modificare il rapporto nell'estensione degli arti. Sarebbe un fatto da circo equestre. Non da equitazione accademica. Un cavaliere non può, nell'equitazione classica, aumentare l'estensione degli arti anteriori in confronto all'estensione di quelli posteriori. E' il motivo per cui, per esempio, il passo spagnolo non è un'andatura classica contemplata nelle riprese della FEI. Ma è considerata un'andatura di fantasia. Andature di fantasia che, come scrive il generale Decarpentry, «modificano le proporzioni del gioco naturale del treno anteriore e del treno posteriore».
Mentre un cavallo esegue la ripresa, che sia elementare o il gran premio, ed esegue il trotto allungato, il giudice può giudicare se gli arti anteriori si posano sotto il punto di massima estensione degli arti senza tornare indietro, ma non riesce a giudicare, data la velocità del movimento degli arti, se anteriori e posteriori sono perfettamente paralleli.
Se un cavallo in natura, al trotto allungato, sbraccia maggiormente con gli anteriori di quanto avanzi con i posteriori, è un suo modo che non è possibile definire un difetto di addestramento, perché così lo ha fatto la natura.
Difficilmente il giudice potrà sanzionarlo, perché non dispone della riprova della moviola o della fotografia istantanea. Tanto è vero che nel primo regolamento della FISE, traduzione di quello internazionale, il fatto non è contemplato.
In Kronos, poi, la differenza è talmente minima, che è proprio cercare il pelo nell'uovo.
Ho altre fotografie di Kronos al trotto allungato nel libro sull'olimpiade di Berlino del 1936 scritto da Gustav Rau, Die Reitkunst der Welt an den Olympischen Spielen 1936, pubblicato nel 1938. Il cosiddetto parallelismo è perfetto.
sabato 11 gennaio 2014
Incappucciamento
L'incappucciamento
(nuca non punto più alto dell'incollatura, linea anteriore del muso dietro la
verticale) è stato condannato da tutti i grandi maestri del passato e, fino a
pochi anni fa, gravemente penalizzato nel rettangolo, fino a considerare un
cavallo incappucciato non meritevole di una sufficienza, penalizzandolo anche
nel terzo voto d'insieme delle riprese nel rettangolo,
"sottomissione".
Una volta (intendo ai tempi di La
Guérinère), quando gli studi di quella che sarebbe stata poi chiamata
"biomeccanica" non si potevano neppure immaginare, l'incappucciamento
era considerato una scorrettezza che metteva il cavallo in sottrazione dalla
mano, non permetteva che l'impulso dai posteriori (il motore) raggiungesse le
mani del cavaliere, annullava la tensione delle redini sulla quale agisce
resistendo opportunamente il cavaliere per non essere costretto a tirare sulla bocca,
rendeva il cavallo più difficile da montare in leggerezza, lo metteva
praticamente "in folle", come possiamo dire noi oggi sull'esempio
dell'automobile.
Oggi, con gli studi avanzatissimi di
biomeccanica, risulta che l'incappucciamento (ciò che gli antichi avevano
percepito solo con la loro sensibilità) ha conseguenze sulla postura generale
del cavallo, sulla sua locomozione e, quando è portato alla sua massima
espressione (rollkur), provoca danni fisici.
Tornando al caso suo e all'insegnamento del
suo istruttore, è evidente che è facilissimo, per dare una postura ritenuta
adatta o indispensabile al lavoro in piano (il "dressage"),
tenere con le redini la bocca di un cavallo in cui il collo non è stato
preparato, non ha muscolatura, è molle, fino a piegarlo, ma non tra la prima e
la seconda vertebra cervicale (articolazione atlanto-epistrofea; l'atlante è la
prima vertebra cervicale, l'epistrofeo o axis è la seconda), come vuole l'arte,
ma dopo e molto dopo, arrotolandolo e non flettendolo affinché funzioni come
una "molla vivente" (generale L'Hotte), la cui flessibilità accorda
con la bocca l'azione delle redini (Questioni equestri, pag.18). Ma,
scrive il generale L'Hotte, la perfezione del funzionamento delle molle non può
essere acquisita "che dopo aver disciplinato, plasmato i muscoli o, se si
vuole, le corde che li fanno muovere, e dopo averle accordate nella loro azione
combinata". E' evidente il riferimento alla musica e allo strumento
musicale da accordare, qual è considerato il cavallo, in questo caso.
Cosa vuol dire disciplinare e plasmare i
muscoli? Vuol dire che prima di ricercare la flessione di una articolazione, in
questo caso del collo, bisogna plasmare, sviluppare prima di tutto i muscoli.
Quando a Berna, tanti anni fa (1970), dove
sono andato per imparare da Henry Chammartin (veda su Google), ho montato per
la prima volta il suo Wolfdietrich, mi ha impressionato la robustezza del
collo. Era una specie di barra di timone, dritta e tesa, ma capace di flettersi
senza piegarsi per poi tornare immediatamente dritta non appena terminava
l'azione della mano.
venerdì 10 gennaio 2014
Assetto per galoppare
Si puo’ galoppare in sospensione elastica sulle staffe (o “sull’inforcatura”, come si dice anche, scorrettamente) o seduti.
Nel primo caso si e’ in equilibrio sulle staffe, che sono la base, nel secondo caso sulle natiche, che sono a loro volta la base. Nell’ultimo caso la staffa porta il solo peso della gamba. Il resto del peso, la maggior parte, e’ scaricato sulle natiche, quindi sulla sella, con un'unica articolazione funzionante (in modo molto ridotto) tra peso del busto e base, quella coxo-femorale.
Nel primo caso tre articolazioni (coxo-femorale, del ginocchio, della caviglia) ammortizzano i movimenti del busto e rendono l’assetto “leggero”. Il peso del cavaliere rimane sempre lo stesso, ma e’ ammortizzato dal gioco di chiusura e di apertura delle tre articolazioni. Se ben fatto, in accordo con l’andatura del galoppo, questo gioco rappresenta un sollievo per il cavallo e anche per il cavaliere, il quale, a sua volta, ammortizza le reazioni provocate dall’andatura e sopporta meglio un galoppo prolungato. In campagna, in un cross del concorso completo, in una corsa piana o a ostacoli, un buon cavaliere sceglie il primo assetto. La staffatura si accorcia. Il busto va inclinato in avanti in rapporto alla velocita’. E’ bene osservare i movimenti del busto di un buon fantino (Dettori, per esempio) in dirittura di arrivo. Non e’ vero quello che si sente dire da cavalieri e istruttori non competenti, che l’assetto leggero porta un eccessivo peso sulle spalle. Un cavallo che allunga l’andatura del galoppo porta necessaria mente piu’ peso verso l’avantreno e il cavaliere si comporta di conseguenza. L’importante e’ che il cavaliere sia in accordo con il cavallo. Il cavallo impegna maggiormente il posteriore e trova il suo equilibrio.
Quando si lavora in piano, siccome e’ di primaria importanza l’uso degli aiuti (gambe, mani, peso del corpo), si galoppa sollevati. E’ anche un fatto estetico. Nel galoppo seduto le gambe possono agire liberamente, mentre nel galoppo sollevato la gamba, avendo una maggiore funzione di sostegno, e’ limitata nelle possibilita’ di movimento. Ma non e’ detto che in lavoro si debba sempre galoppare seduti. Con un cavallo sportivo (salto, concorso completo), per esempio, per controllare la rispondenza del cavallo negli allungamenti e nei rallentamenti, si passa dal galoppo seduto a quello sollevato aumentando la velocita’ dell’andatura, ci si siede per rallentare e fermare.
Andando a saltare e in percorso come si monta? La nostra monta (quella tradizionale italiana di derivazione caprilliana) e’ sollevata. Si puo’ fare tutto un percorso, anche grosso, rimanendo in equilibrio sulle staffe, sedendosi, piu’ o meno o niente, nelle girate e questo fatto dipende anche dal cavallo che si monta. Con un cavallino leggero, di non molti mezzi (com’era per esempio Pagoro, m 1.56 al garrese, cavallo che lei non credo possa aver visto), si monta in equilibrio sulle staffe, facendo attenzione a non infastidire la schiena con le natiche. Con un cavallo grande e potente si puo’ stare seduti, ma e’ anche possibile montare “leggero”.
Non e’ vero che, sedendoci, il cavallo aumenta “di conseguenza” la velocita’ “perche’ si sente caricato sulla schiena”. Anzi, il raddrizzamento del busto, tipico del galoppo seduto, e’ in genere, in un cavallo lavorato per bene, un invito al rallentamento.
I grandi cavalieri italiani di un tempo (quelli di prima dell’ultima guerra e dopo: i d’Inzeo, Salvatore Oppes, Mancinelli, d’Oriola e i Francesi, anche i Tedeschi, Winckler, Thiedemann, Ligges, gli Statunitensi, ecc.) galoppavano in equilibrio sulle staffe. I percorsi non erano piu’ facili e gli ostacoli piu’ bassi, come erroneamente si crede e si sente dire o si legge. I percorsi delle occasioni importanti (coppe delle nazioni, gran premi, olimpiadi, campionati del mondo) erano grossi e difficili come oggi. I larghi erano veri larghi, non come quelli dei percorsi di Piazza di Siena di quest’anno. Ho visto di persona Piero d’Inzeo vincere su grossi percorsi al chiuso montando sulle staffe. Raimondo d’Inzeo ha vinto la medaglia d’oro nell’olimpiade di Roma su Posillipo, cavallo di media statura e leggero, montando “leggero”. Il cavallo non avrebbe tollerato una monta diversa.
Nel primo caso si e’ in equilibrio sulle staffe, che sono la base, nel secondo caso sulle natiche, che sono a loro volta la base. Nell’ultimo caso la staffa porta il solo peso della gamba. Il resto del peso, la maggior parte, e’ scaricato sulle natiche, quindi sulla sella, con un'unica articolazione funzionante (in modo molto ridotto) tra peso del busto e base, quella coxo-femorale.
Nel primo caso tre articolazioni (coxo-femorale, del ginocchio, della caviglia) ammortizzano i movimenti del busto e rendono l’assetto “leggero”. Il peso del cavaliere rimane sempre lo stesso, ma e’ ammortizzato dal gioco di chiusura e di apertura delle tre articolazioni. Se ben fatto, in accordo con l’andatura del galoppo, questo gioco rappresenta un sollievo per il cavallo e anche per il cavaliere, il quale, a sua volta, ammortizza le reazioni provocate dall’andatura e sopporta meglio un galoppo prolungato. In campagna, in un cross del concorso completo, in una corsa piana o a ostacoli, un buon cavaliere sceglie il primo assetto. La staffatura si accorcia. Il busto va inclinato in avanti in rapporto alla velocita’. E’ bene osservare i movimenti del busto di un buon fantino (Dettori, per esempio) in dirittura di arrivo. Non e’ vero quello che si sente dire da cavalieri e istruttori non competenti, che l’assetto leggero porta un eccessivo peso sulle spalle. Un cavallo che allunga l’andatura del galoppo porta necessaria mente piu’ peso verso l’avantreno e il cavaliere si comporta di conseguenza. L’importante e’ che il cavaliere sia in accordo con il cavallo. Il cavallo impegna maggiormente il posteriore e trova il suo equilibrio.
Quando si lavora in piano, siccome e’ di primaria importanza l’uso degli aiuti (gambe, mani, peso del corpo), si galoppa sollevati. E’ anche un fatto estetico. Nel galoppo seduto le gambe possono agire liberamente, mentre nel galoppo sollevato la gamba, avendo una maggiore funzione di sostegno, e’ limitata nelle possibilita’ di movimento. Ma non e’ detto che in lavoro si debba sempre galoppare seduti. Con un cavallo sportivo (salto, concorso completo), per esempio, per controllare la rispondenza del cavallo negli allungamenti e nei rallentamenti, si passa dal galoppo seduto a quello sollevato aumentando la velocita’ dell’andatura, ci si siede per rallentare e fermare.
Andando a saltare e in percorso come si monta? La nostra monta (quella tradizionale italiana di derivazione caprilliana) e’ sollevata. Si puo’ fare tutto un percorso, anche grosso, rimanendo in equilibrio sulle staffe, sedendosi, piu’ o meno o niente, nelle girate e questo fatto dipende anche dal cavallo che si monta. Con un cavallino leggero, di non molti mezzi (com’era per esempio Pagoro, m 1.56 al garrese, cavallo che lei non credo possa aver visto), si monta in equilibrio sulle staffe, facendo attenzione a non infastidire la schiena con le natiche. Con un cavallo grande e potente si puo’ stare seduti, ma e’ anche possibile montare “leggero”.
Non e’ vero che, sedendoci, il cavallo aumenta “di conseguenza” la velocita’ “perche’ si sente caricato sulla schiena”. Anzi, il raddrizzamento del busto, tipico del galoppo seduto, e’ in genere, in un cavallo lavorato per bene, un invito al rallentamento.
I grandi cavalieri italiani di un tempo (quelli di prima dell’ultima guerra e dopo: i d’Inzeo, Salvatore Oppes, Mancinelli, d’Oriola e i Francesi, anche i Tedeschi, Winckler, Thiedemann, Ligges, gli Statunitensi, ecc.) galoppavano in equilibrio sulle staffe. I percorsi non erano piu’ facili e gli ostacoli piu’ bassi, come erroneamente si crede e si sente dire o si legge. I percorsi delle occasioni importanti (coppe delle nazioni, gran premi, olimpiadi, campionati del mondo) erano grossi e difficili come oggi. I larghi erano veri larghi, non come quelli dei percorsi di Piazza di Siena di quest’anno. Ho visto di persona Piero d’Inzeo vincere su grossi percorsi al chiuso montando sulle staffe. Raimondo d’Inzeo ha vinto la medaglia d’oro nell’olimpiade di Roma su Posillipo, cavallo di media statura e leggero, montando “leggero”. Il cavallo non avrebbe tollerato una monta diversa.
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